Christopher Kent Mineman - Didattica in rete

Laboratorio: l'ondoscopio
Laboratorio (giornata 1)

. Scopi: (giornata 1 e 2)

  • Individuare come, attraverso lo studio dei fenomeni di riflessione delle onde, si possa avere, per scattering, la descrizione della forma di un oggetto (detto bersaglio o target).

  • Studiare maggiormente in dettaglio le proprietà delle onde piane e circolari


Procedimento:

Abbiamo utilizzato un recipiente di vetro trasparente sospeso rispetto al piano di lavoro, in modo che le ombre, generate da una fonte luminosa (lampadina) posta perpendicolarmente rispetto al recipiente ed al piano d’appoggio, potessero essere osservate riflesse;

Riempito il recipiente, che nel nostro caso era di forma rettangolare, con circa 2 cm d’acqua, vi abbiamo immerso un ondoscopio, in modo che esso fosse solo tangente al pelo dell’acqua in ogni suo punto. Nel nostro caso l’ondoscopio era irrimediabilmente storto.

Accendendo il motore lo strumento produceva delle onde piane, che procedevano in direzione perpendicolare rispetto all’ondoscopio;

Abbiamo osservato che sul piano di lavoro sottostante le onde erano visibili come linee alternate chiare e scure,  zone di luce e zone d’ombra.

Questo effetto è dovuto al fatto che la cresta dell’onda si comporta come una lente convergente, e dunque la luce che la attraversava convergeva in un solo punto, che, sommando tutti i punti della cresta, dava origine alla linea luminosa; il ventre dell’onda si comporta in maniera opposta, cioè come una lente divergente, per cui la luce veniva diretta lontano dalla normale del piano, più vicino alle linee luminose, creando così le zone d’ombra.

Attività:

Il nostro compito ora era quello di calcolare la velocità di propagazione delle onde prodotte dall’ondoscopio, che è :

V= frequenza * lunghezza d’onda


La lunghezza d’onda era facilmente ricavabile misurando con un righello in cm (e poi trasformando in m) la distanza tra una linea luminosa ed un’altra (quindi tra una cresta e l’altra è la lunghezza d’onda). I dati non posso riportarli in quanto a causa dell’ondoscopio difettoso non siamo riusciti né a misurare la lunghezza d’onda (le linee erano poco definite e molto curveggianti, non linee rette) né a svolgere il lavoro seguente che adesso spiegherò, ma siamo comunque riusciti a capire il funzionamento osservando poi i dati e gli appunti degli altri gruppi.

La frequenza l’abbiamo invece calcolata tramite l’uso di uno stroboscopio: esso è formato da un corpo circolare girevole con all’interno un foro per il dito e dentellato regolarmente sui bordi per permettere la visione di ciò che vi è oltre nel momento in cui venga fatto girare. Osservando attraverso lo stroboscopio il riflesso sul piano delle onde, facendolo girare raggiungendo una certa velocità, queste sembravano ferme: una volta raggiunta questa particolare velocità abbiamo dunque contato quanti giri compiva lo stroboscopio nell’arco di 30 sec. In questo modo è come se avessimo “trasferito” il movimento dell’onda al nostro dito (che girava lo stroboscopio), e quindi abbiamo ottenuto, moltiplicando il numero di giri contati per due, la frequenza (n° di onde passanti per un punto di riferimento al minuto). Ora, la frequenza in Hz si misura in giri al secondo: quindi abbiamo diviso il nostro numero di giri per 60, ottenendo così il numero di giri (onde)/sec.

Riconducendoci alla formula all’inizio della pagina, abbiamo infine calcolato la velocità

Laboratorio (giornata 2)

Procedimento:

Abbiamo riattivato l’ondoscopio nelle stesse condizioni della giornata 1 di laboratorio, ma questa volta abbiamo studiato la riflessione delle onde: abbiamo posto nel recipiente un oggetto, disposto ad un certo angolo di incidenza α rispetto alla direzione delle onde piane; osservando con lo stroboscopio la proiezione delle luci/ombre sul piano abbiamo notato che nei punti nei quali le onde incontravano l’oggetto si formavano dei “quadrati” di luce: questi erano frutto dell’interferenza tra onde riflesse (di incidenza α rispetto alla normale della superficie dell’oggetto) ed onde piane che invece, non incontrando lungo il loro percorso l’oggetto, rimanevano immutate proseguendo per la loro direzione. Anche mutando la posizione e l’entità degli oggetti il risultato non variava.

Immergendo invece un oggetto circolare si ottenevano onde circolari nei pressi dei punti nei quali le onde intersecavano l’oggetto, ed onde piane o interferenza di onde piane e circolari nei dintorni. E’ nata poi una discussione riguardo alla zona d’ombra che coinvolgeva i punti dell’oggetto non direttamente toccati dalle onde (ossia i punti opposti all’ondoscopio): Secondo me ed alcuni altri compagni il cono d’ombra diminuiva all’aumentare della frequenza, secondo altri era il contrario, e l’osservazione imprecisa non ci ha dato modo di scoprire chi avesse ragione, anche se da come ha reagito la prof credo avessero ragione gli altri.

Siamo poi passati alla creazione di onde circolari, ottenute con l’immersione di uno solo dei due “puntali” dell’ondoscopio ed abbiamo osservato che, a differenza di quelle piane, le onde circolari non rimanevano costanti durante tutto il loro tragitto, ma la luminosità delle linee riflesse sul piano d’appoggio diminuiva coll’aumentare della distanza dal puntello che produceva le onde. Infatti l’ampiezza (l’altezza della cresta) delle onde circolari è inversamente proporzionale alla distanza dal punto di origine


Conclusioni:

Ciò che noi abbiamo fatto durante questi due giorni era il processo inverso dello scattering: dallo studio delle interazioni tra un oggetto conosciuto e delle onde prodotte da una fonte altrettanto conosciute, ne abbiamo studiato le proprietà (delle onde). Siamo dunque giunti alla conclusione che, conoscendo invece le proprietà delle onde e non conoscendo l’oggetto, ed affidandoci solamente all’osservazione delle onde riflesse sul piano d’appoggio, saremmo potuti giungere ad individuare la forma dell’oggetto, e quindi conoscerlo, e conoscere la materia attraverso lo scattering.