Caratteristiche di uno Scattering
Ogni esperimento di scattering è quindi caratterizzato da tre elementi principali:
- Un fascio di particelle
- Un target
- Un rivelatore
I primi ad effettuare questo genere di esperimenti, con lo scopo di indagare
la struttura della materia, furono Geiger e Marsden in collaborazione con
Rutherford (attorno ai primi del ‘900).
Questi esperimenti utilizzavano fasci collimati di particelle a
(nuclei di elio, e quindi formati da due protoni e due neutroni) e come target
una lamina metallica sottile (per non dover analizzare anche gli scattering
multipli).
Il rivelatore è posizionato in modo da poter misurare le particelle
diffuse ad un certo angolo Φ in un determinato
intervallo di tempo (Δt).
Non è possibile effettuare analisi sugli scontri di singole particelle,
e pertanto dovremo basarci su di uno studio probabilistico degli urti, a diversi
angoli, prendendo ogni volta in cosiderazione solo una certa frazione delle
particelle che hanno raggiunto il target.
Nell’esperimento di Rutherford, Geiger e Marsden avevano utilizzato
un fascio di particelle a sparato contro ad una
lamina d’oro spessa 0,4 mm.
Avevano osservato che maggior parte delle particelle incidenti proseguiva
indisturbata attraversando la lamina d’oro (non subendo quindi alcuna
deviazione), mentre una piccolissima frazione di esse veniva deflessa ad
angoli anche molto maggiori di 90° e qualcheduna rimbalzava perfettamente
all’indietro.
Visto che la maggior parte delle particelle proseguivano senza la minima
deviazione, ciò significava che le probabilità di avere un
urto erano piccolissime e, di conseguenza, le possibilità di avere
due urti erano di molto minori.
A seguito di calcoli effettuati da Thomson, si è ricavato che gli
angoli di deflessione dovevano essere simili a quelli calcolati per un qualsiasi
esperimento di random walk (moto casuale), e cioè
direttamente proporzionali alla radice quadrata del numero degli urti (infatti
per oggetti che si muovono di moto casuale in tutte le direzioni, la distanza
più probabile percorsa risulta coincidente con la radice quadrata
del numero totale dei movimenti effettuati).
Sempre secondo Thomson in teoria la deflessione di una particella qualunque
doveva rispettare la seguente legge: ,
dove F è l’angolo di deviazione
della particella incidente, n è il numero degli urti e q
è la deflessione media delle particelle.
Quindi da questa formula si ricava che per avere grandi angoli di deflessione, una particella deve subire numerosi o numerosissimi urti (a causa del fatto che n è posto sotto radice).
Poiché però per evidenza sperimentale la
deviazione delle particelle era nella stragrande maggioranza dei casi pressoché
nulla, allora la probabilità di avere deflessione grande avrebbe
dovuto essere molto vicina a zero (per la precisione, avrebbe dovuto essere
di circa 10-3518, ossia 1 posto dopo 3518 zeri dopo la
virgola!).
Per evidenza sperimentale però esistono particelle deviate ad angoli
anche molto maggiori di 90°, cosa che contraddiceva l'ipotesi formulata.